Lui, Luigi Veronelli il provocatore, è morto cinque anni fa, lasciando a tutti noi un’eredità pesante di impegni.
Qualcuno passa, raccoglie e va, come nella quercia carducciana: il valore si scopre nell’azione, la grandezza del valore si evidenzia nell’assenza.
In questo momento di degrado etico, di caduta del gusto non posso che ricordare i suoi gesti, guasconi a volte, provocatori sempre, eccessivi mai; sempre misurati all’importanza dell’evento, attenti a marcare le sottili differenze che creano valori identitari. Le sue labbra grosse ad assaporare il dettaglio che sfugge ai più, il senso stesso delle cose.
Come un nuovo Tiresia capace di vedere lontano, oltre la vista, nel mondo dove vivono le soluzioni.
Non dimentichiamo che questo è stato.
Luigi Veronelli il provocatore è morto in anticipo, ci aveva fatto credere di vivere 103 anni, e ci ha fregati.
Noi ci eravamo adagiati nella sua presenza e non ci siamo accorti che era stato non un cronista ma un creatore.
Ha dovuto morire per farcelo capire, perché rileggessimo quello che ha scritto e camminassimo le vigne da lui create.
D’altronde ce l’aveva detto: qui bene latet bene vivit (vive bene chi bene si nasconde), c’era scritto all’ingresso della sua casa per cui Luigi Veronelli il provocatore, l’ateo, l’anarchico, beffardamente ride e vive ottimamente.
Nichi Stefi, amico e collaboratore