L’uomo di cultura è un viandante, sempre in cammino, condannato a un destino di crescente consapevolezza della propria ignoranza, ché la conoscenza è come l’orizzonte: più t’avvicini e più s’allontana.
In ciascuno c’è sempre qualcosa di speciale, di unico, di personale, che fa di noi degli individui.
Taluni però ne hanno più d’una di “specialità”.
È il caso di Luigi Veronelli, scrittore, editore, giornalista, filosofo, anarchico, ma specialmente generoso portatore di straordinaria umanità. I tratti cardinali della sua personalità erano la coerenza, l’onestà, la libertà d’azione e di pensiero.
Privilegiava l’essere senza disprezzare l’avere. Non conosceva il senso del possesso, al punto che non tratteneva niente per sé: dava. A ricchi e poveri.
Anticonformista e totalmente privo di pregiudizi, lo ricordo… al Guggenheim per la premiazione dei Soli delle sue celeberrime guide, ad accogliere Vittorio Sgarbi, i vignaioli, i ristoratori, i giornalisti e i ragazzi dei centri sociali… tutti con la stessa amabile attenzione.
Era animato da decisa avversione per ogni potere (pre)costituito; era contro il divieto e a favore delle leggi del buonsenso, quello concreto e semplice, tipico del contadino.
Non si è mai sottomesso alle logiche del mercato difendendo strenuamente le specificità e la diversità, il diritto alla propria identità, il dovere di rispettare il lavoro dell’uomo e il carattere dei luoghi…
La parola “resa” non figurava nel suo vocabolario.
Non si perdeva mai d’animo e si sforzava di non lasciarsi distrarre dalla reazione per concentrarsi meglio sull’azione, al limite anche ironica, come quella volta che venne condannato a tre mesi in appello per pubblicazioni oscene assieme ad Alberto Manfredi per avere pubblicato nel 1957, “Historiettes, contes et fabliaux” di De Sade, bruciato nel cortile della questura di Varese.
Negli ultimi anni aveva collaborato con i giovani dei centri sociali, tra gli ispiratori del movimento “terra e libertà/critical wine”, ed era interessante il suo fare affidamento sui giovani estremi, come li chiamava, quasi che la loro collocazione all’estremità fosse di buon auspicio alla crescita, al movimento, all’evoluzione, alla possibilità di estendersi negata a chi sta in mezzo.
La fatica, la sofferenza, la solitudine patite da un grande personaggio come Veronelli dovrebbero far riflettere sulla miopia di un mondo dominato dalla logica del profitto, in cui grandi artisti e poeti non sono considerati neanche “capitale umano” (come ho sentito definire i lavoratori).
I tanti risultati raggiunti non li aveva mai “capitalizzati”, non tratteneva e anziché vendere al migliore offerente, metteva subito in circolo le sue intuizioni, le sue idee, i suoi progetti, comportamento tipico del ricercatore, ben sapendo che il vero scopo della ricerca è cercare, non trovare, e tantomeno accumulare consapevole che il miglior modo di valorizzare è diffondere e usare.
Elargiva consigli e indicazioni, metteva in relazione, provocava interazioni, senza vantaggi personali, tanto che mentre i produttori da lui lanciati si arricchivano lui non ha mai smesso di faticare…
Di lui resta inchiostro, versato a fiumi per dar voce alla terra, al lavoro, alla libertà, con una prosa che richiedeva attenzione: non si può – ancor oggi – leggere Veronelli distrattamente, occorre esser disposti a farsi condurre nelle pieghe del ritmo e ad addentrarsi nella struttura del suo dire caratterizzato da uno stile personale e distintivo tanto per l’uso raffinatamente preciso e ricercato che faceva della parola, che per l’ordine del discorso.
I suoi scritti contenevano termini appositamente coniati per dare evidenza al significato recondito e catturare l’attenzione del lettore, costretto di tanto in tanto a fermarsi, a tornare indietro, a riflettere, per meglio accertarsi di aver capito l’espansione di senso d’immediate espressioni.
Il lavoro fatto da Veronelli prosegue ancor oggi, perché ha arato le coscienze lasciando tracce indelebili, impercettibili ma diffuse. La storia di Luigi Veronelli è scritta nella sua vita, un libro non rilegato e con fogli seminati ai quattro venti, pagine sparse ma non disperse, al contrario disseminate.
Così come tutti i cuochi sono debitori a Marchesi, così i contadini, i moltissimi appassionati di cibo e vini sono debitori a Veronelli, lo sono malgrado anche quanti fanno finta non sia esistito e quanti non sanno neanche chi sia.
È stato un anticipatore del ritorno alla terra e il contributo dato al clima d’interesse creato con anni di militanza culturale, resta indelebile.
Giovanni Leone, architetto