Nel settembre 1991, annata non buona e a pochi mesi dalla storica apertura delle frontiere, Maria Grazia Peracchino, giornalista de La Gazzetta del Piemonte, fa lunga intervista a Gino Veronelli sullo stato di salute generale del vino italiano, piemontese e no, e sulla considerazione che vent’anni fa si aveva all’estero.
Ne riproduco un significativo estratto.
Gian Arturo Rota
Domanda: Dunque dimmi Veronelli, come sta il vino italiano?
Risposta: Molto bene direi… Per quanto riguarda il vino rosso siamo al sorpasso di fronte ai francesi…
D. Quale posto occupano i vini piemontesi in Italia e in Europa?
R. Molto importante. A un livello molto alto forse persino troppo alto. Specialmente in Europa si pensa al vino piemontese come a un vino delle grandi occasioni, soltanto delle grandi occasioni.
Ecco perché quando penso al Barolo, al Barbaresco, ai Gattinara penso che gli enotecnici debbano operare su questi grandi vini per proporli in una maniera più moderna, nuova, più complessa e completa.
Io penso ai grandi vini, ma ce ne sono anche molti, grandi, che giacciono in pessime condizioni…
D. Con l’apertura delle frontiere nel ’92 l’Italia dei vini cosa deve temere?
R. Nulla. Proprio nulla. Piuttosto deve preoccuparsi della mancanza di una legislazione seria.
Abbiamo ancora la 930, fatta da un piemontese che di vini non capiva niente, l’onorevole Desana, una legge nata vecchia la cui vecchiaia ci opprime, una legge che che è senza dubbio la peggiore che potesse capitare a un paese vitivinicolo come l’Italia.
Purtroppo abbiamo al governo gente che che è incapace, che per la 930 parla sempre di modifica ma la modifica non la fa mai.
D. Quale modifica sarebbe necessaria secondo te?
R. Il legislatore deve adottare il criterio della piramide. Fu annunciato da Calogero Mannino circa due anni fa, poi Mannino lasciò il governo, lo sostituì al dicastero dell’Agricoltura un tecnocrate come Saccomandi che nemmeno si occupò della questione, poi arrivò Goria il quale pare se ne occupi ma essendo un politico molto prudente che vuole accontentare un po’ tutti non ha deciso di scegliere la via della qualità esasperata a tutti i costi, il criterio della piramide pare non l’adotterà affatto.
Si deve intendere, e lo devono fare anche i politici, che il futuro del vino sta unicamente nella qualità altissima, esasperata. Il vino comune è destinato a scomparire.
Si salveranno solo i produttori che investiranno tutti i loro sforzi nella qualità.
D. Nella società italiana quale cultura del vino e del bere c’è?
R. E’ una cultura radicata e ineliminabile perché è la cultura delle origini. Basta guardare i classici: c’è un riferimento costante al vino.
La società moderna guarda con grande interesse alla qualità della vita. Per cui al vino si pone grandissima attenzione.
E’ sbagliato dunque pensare che la società moderna non sappia più bere.
La Coca Cola e le bevande alternative in genere sono vincenti solo nei paesi del terzo mondo e di cultura poverissima, perché avendo gusti monotoni saranno rifiutata di mano in mano che si realizzerà una crescita delle cultura e dell’uomo.
Cultura è di per sé stessa incentivo alla difficoltà e all’esigenza della scelta.
D. I francesi investono nel vino come se fosse un titolo in borsa. Perché la stessa cultura non si è imposta anche in Italia?
R. Perché in Francia si arriva a una coscienza nazionale nel ’700, fine anni 700, noi ci siamo arrivati solo dopo la fine della seconda guerra mondiale. Loro hanno 150 anni di vantaggio su di noi.
I francesi nel 1855 avevano già una legislazione sulla vite efficiente ed efficace, da noi i problemi del vino non sono mai stati affrontati con la dovuta serietà e chiarezza.
D. Una spiegazione storica la tua, dunque?
R. Si… In Italia manca il “negoce”, quella che è l’arma più potente in Francia, questa assenza è la motivazione fondamentale per cui i vini italiani si vendono tutti troppo giovani, per cui si è fatta la scelta della rotazione ultraveloce invece che quella d’investire sul tempo e sulla qualità esasperata.
Il “negoce” è quell’istituto per cui investitori, gente che ha danaro e che conosce il vino, al momento della vendemmia acquisisce la vendemmia e poi la metterà in vendita solo al momento enologicamente opportuno, a volte dopo anni o decenni.
D. Mi puoi tracciare il profilo dell’imprenditore italiano nel vino oggi?
R. No, perché è abbastanza differenziato.
Secondo me, deve essere giovane e colto. Deve puntare tutto sulla qualità esasperata del vino.
D. E la vigna italiana nei prossimi anni come te la immagini?
R. La legge sta facendo di tutto per favorire la vigna di pianura contro quella di collina. Cosa assurda e stupida, di vero scandalo. Noi sappiamo che solo la vigna di collina è madre di vini superbi.
Malgrado la legge, contro la legge, con estrema difficoltà, io penso proprio che la vigna di collina trionferà.
E’ questa la vigna dei prossimi anni, a mio parere.