Ci sono molti modi per incontrare una persona che hai sempre amato per quel che dice e scrive.
Luigi Veronelli l’ho conosciuto nel miglior modo immaginabile, nel suo habitat, e cioè a tavola, chiacchierando piacevolmente fino a notte di piacere e anarchia.
Alla fine di quella cena in un congruo ristorante romano avevo le idee così confuse da pensare che per il grande maestro, il “gastrosofo”, “sua nasità”, il piacere corrispondesse all’impegno sociale e l’anarchia al piacere.
Ripensandoci oggi, mi convinco che forse avevo proprio colto l’essenza del suo pensiero.
Il piacere è un diritto che troppo spesso ci neghiamo a causa della nostra fragilità, non quella economica ma quella culturale. Fino a demonizzarlo. In questo Luigi era molto simile a quell’altra banda di enogastronomi di sinistra che dettero vita a Slow Food e piazzarono la sede nazionale dell’organizzazione gaudente a Bra, in via della Mendicità Istruita.
Il piacere per esempio è un bicchiere di vino rosso di cui conosci la storia, il profumo della terra in cui nasce e il produttore, tanto meglio se si tratta di un Barolo di Bartolo Mascarello, un vecchio partigiano di “Giustizia e libertà” che se gli stai simpatico ti racconta di come riceve i ricchi mercanti tedeschi che bussano alla sua porta per acquistare il suo vino, famoso ad Alba come a New York.
Li porta fuori, indica loro una collina e spiega:
«Nel ’43 io mi arrampicavo come una lepre e suo padre mi inseguiva con il fucile puntato».
Non è questione di soldi, puoi anche provare sensazioni forti bevendo un Sangiovese il cui produttore è un umile contadino con pochi filari di uva sconosciuti non solo a New York ma con un grande cuore e salde radici nella sua terra.
Luigi pensava male dei Doc e dei Docg, persino sui presidi gastronomici dello Slow Food trovava da ridire.
Preferiva lavorare sulla denominazione comunale dei giacimenti gastronomici. Dove sta la differenza?
Da come me l’aveva spiegata ho capito che non si possono “brevettare” formaggi prodotti su territori troppo vasti, perché cambiando collina cambiano sapori, caratteristiche, memorie. Il territorio più esteso può essere il comune.
Perché il sapore è come la democrazia, più restringi il campo e più è possibile il controllo collettivo, più si valorizzano le differenze.
Gli ultimi anni Luigi li ha passati a parlare di piacere e anarchia nei centri sociali, non per criticare chi organizzava il Salone del Gusto ma perché era fatto così.
Era suo piacere parlare con quei giovani estremisti, e ascoltarli. Le sue provocazioni ci mancheranno.
Loris Campetti